“Dopo un time-out non si deve sbagliare la battuta… e nemmeno sull’ultimo punto del set!!!”Me lo ha insegnato quarant’anni fa Adriano Pavlica, ben noto a chi frequentava negli anni ’70 il “Tre Pini”: triestino, migrato in quel di Padova dove giocava da centrale nel Petrarca, titolare della cattedra di Pallavolo all’ISEF e formatore degli allenatori del Friuli Venezia Giulia.Ho ritrovato quei consigli nel recente testo Il Nuovo Sistema Pallavolo di Marco Paolini, un vero maestro nel formare giovani pallavolisti (e non solo), dei quali alcuni, come Papi e Bari, calcano ancora i parquet della nostra A1. Anche Paolini sottolinea: “si devono sbagliare poche battute“, oppure “mai sbagliare la battuta dopo una sospensione di qualsiasi tipo” e ancora “mai sbagliare la battuta del set point“, per concludere con il classico “mai sbagliare la battuta se nella rotazione precedente il proprio compagno di squadra ha sbagliato il servizio“. E parla anche di quei giocatori che “in allenamento battono benissimo ma durante la partita, nel timore di commettere errori…” Qualcuno potrà pensare: “Ma questa non doveva essere una rubrica dedicata alla psicologia dello sport? Non bastano i commenti di Lucky Lucchetta durante le partite in TV?” Beh, a dire il vero parlare di aspetti tecnico- tattici che non trovano compiuta espressione durante il gioco spesso significa andare a indagare su ciò che sta dietro agli errori: dietro a certi errori spesso agisce davvero il timore di commettere errori! In questi casi noi psicologi parliamo di ansia, uno stato d’animo ben noto a noi tutti: chi non sa cosa si prova nel momento in cui troviamo ad affrontare situazioni di incertezza, che richiedono decisioni importanti o che coinvolgono persone a noi care… Nello sport spesso si parla di ansia da prestazione, quello stato di malessere più frequentemente individuale (in certe particolari situazioni anche prettamente “maschile”) che determina incertezza o insicurezza, che fa vivere il timore di fallire. Ma perché sottolineo il legame fra ansia e battuta?Se ragioniamo sul fondamentale, ci risulta evidente come esso sia peculiare rispetto ad altre fasi di gioco:- è il più individuale dei fondamentali: chi va in battuta è solo di fronte allo schieramento avversario ed è l’unico responsabile della buona riuscita di tale azione;- viene eseguito con molto tempo a disposizione: fra il tempo di recupero della palla e gli otto secondi concessi dopo il fischio dell’arbitro; chi va a battere ha davanti a sé una quindicina di secondi, da trascorrere fuori dai momenti di gioco corale, durante ai quali spesso pensa più agli errori appena compiuti che a ciò che deve fare per mettere in difficoltà l’avversario;- è il fondamentale che maggiormente ti espone ai commenti del pubblico e a bordate di fischi della tifoseria avversaria. Riassumiamo: un notevole carico di responsabilità più un possibile senso di solitudine più tanta innegabile pressione sociale (il pubblico, amico o nemico che sia). Cosa ne scaturisce?ANSIA, la paura di non essere all’altezza, il timore di deludere le speranze che altri ripongono in noi! Effetto: agitazione interiore, tensione mentale e quindi un blocco o un freno allo stato psicologico di eccitazione che innegabilmente accompagna ogni prestazione sportiva. Dice Joseph LeDoux (1): “L’ansia e la paura sono strettamente imparentate. Sono entrambe delle reazioni a situazioni dannose o potenzialmente dannose. L’ansia si distingue dalla paura per la mancanza di uno stimolo esterno che provochi la reazione: è la paura interna del mondo esterno.“Essendo derivata da stimoli generati dall’individuo stesso (ad esempio, pensando ad un errore precedente o al timore di sbagliare) l’ansia è l’anticipazione di possibili eventi negativi e determina uno stato costante e diffuso di allarme. La persona ansiosa rimugina su ciò che potrebbe accadere, alimentando da se stessa la paura di provare paura. Ricorda ancora LeDoux: “Paura e ansia sono reazioni normali a un pericolo reale o immaginario,e non sono di per sé condizioni patologiche” e sottolinea: “i disturbi ansiosi riflettono l’attività del sistema della paura nel cervello“. Una caratteristica importante del nostro cervello è la capacità di costruire scenari di futuri eventi possibili e, fra questi, alcuni sono volutamente negativi. Se ciò può risultare utile aiutandoci ad aumentare lo stato di attivazione generale dell’organismo (tecnicamente: stato di arousal) allo scopo di ottenere un aumento delle nostre capacità di dare risposta adeguata ai singoli eventi o consentendoci di anticipare il vissuto emotivo derivante dallo stress indotto da possibili fatti traumatici (future situazioni di disagio o dolore), per contro, nelle gare, questa “capacità” si può rivelare un handicap.Cosa avviene a livello neurofisiologico? Lo stato ansiogeno induce la produzione di ormoni dello stress come l’adrenalina e la noradrenalina e un processo di vasocostrizione: ciò significa che muscoli e cervello ricevono un minor flusso sanguigno, ovvero una minore ossigenazione.Avviene anche che le ghiandole surrenali, che si attivano sempre nelle situazioni stressanti, immettono nel flusso sanguigno un ormone steroideo che influisce a livello cerebrale su ippocampo e amigdala, che abbiamo incontrato parlando del sistema limbico, oltre che sulla corteccia prefrontale (importantissima, ad esempio, quale centro di programmazione delle azioni umane). Se lo stress dura troppo a lungo, l’ippocampo va in tilt: l’ippocampo è un’area del cervello importantissima per i meccanismi della memoria, quando funziona con difficoltà le funzioni della memoria esplicita cosciente vengono alterate. Anche il rallentamento delle funzioni della memoria e della programmazione motoria, derivanti da meccanismi cerebrali che possono risentire dello stress, comportano la diminuzione delle abilità individuali nella prestazione sportiva. Sebbene in uno sport collettivo si possa contare sul sostegno dei propri compagni, non è detto che i livelli individuali d’ansia siano minori rispetto a quelli provati da chi pratica uno sport individuale. Anche se si è parte integrante di una squadra, il peso della responsabilità si avverte singolarmente, e questo mette sullo stesso piano tutte le categorie di sportivi. Prima di ogni gara ogni atleta prova su di sé uno stato di tensione molto alto, sia egli un atleta principiante o un “campione“: in ogni sport, in ogni situazione agonistica chi si sta preparando alla competizione prova sempre una certa inquietudine, che si può riflettere negativamente sulla gara determinando una cattiva performance. Ad esempio, ci ricordiamo certo di Federica Pellegrini; il 28 febbraio 2010 titolava su di lei “La Stampa“: “Attacco di panico in vasca, la Pellegrini rivive l’incubo dei 400“. Ansia e attacchi di panico vanno a braccetto, per fortuna non sempre e non per tutti, ma la prima predispone le persone ad essere soggette a quel tipo di disturbi assai poco piacevoli da provare. Comprendere le dinamiche che portano ai problemi di prestazione causati dall’ansia, significa aver compreso che le cause di quest’ultima vanno combattute: l’atleta deve “lavorare” per comprendere quali siano i propri processi mentali auto-limitanti, più o meno inconsci.Ad esempio, per vivere uno stato di maggiore fiducia interiore la prima cosa da fare è lavorare all’aumento della propria autostima. Serve, inoltre, diventare consapevoli dei propri meccanismi inconsci di auto-sabotaggio. Evitare di auto-programmarsi all’insuccesso è fondamentale per evitare di ricadere nel circolo senza fine dell’ansia da prestazione.Tutto questo lo si può raggiungere soltanto lavorando su sé stessi con opportune tecniche mentali che mirino al potenziamento della propria autostima, aggiungendo a ciò il costante lavoro di perfezionamento del controllo motorio fine del proprio corpo e della tecnica esecutiva del fondamentale.Nel ritrovare piena fiducia in sé, si potrà dire addio in modo definitivo all’ansia da prestazione, nella piena consapevolezza che gli eventuali errori, che inevitabilmente saranno compiuti, dipenderanno quasi esclusivamente dalle esigenze tecnico- tattiche legate all’andamento della gara quali, ad esempio, la ricerca di particolari zone del campo da colpire. Pietro “Piero” Visentini Psicologo dello Sport e consulente della “Tonazzo Pallavolo Padova” —(1) Joseph LeDoux, Il cervello emotivo, Ed. Baldini&Castoldi