Pallavolo Padova

Lo Psicologo dello Sport risponde – La “paura di vincere”

Il Dott. Visentini risponde all’interessante domanda di un tifoso. Per le vostre domande scrivete a pietro.vise.volley@virgilio.it. Appuntamento a mercoledì 5 marzo!   Ringrazio Mirko, che chiede in una sua cortese mail: “…parlando di paura di vincere affermi che le emozioni negative possono bloccare le capacità di gioco di una squadra, puoi dirmi qualcosa di più sull’argomento?” Proviamoci! “Mani e viso sudati, dita che non riescono a stare ferme, gambe che tremano, mente affollata di pensieri frenetici: sono tutti segni del tumulto emotivo che si scatena quando rischiamo di perdere. Apparentemente, sono tutti indipendenti dalla nostra volontà.” (1) Tutto ciò ci può succedere anche ben prima di entrare sul campo di gioco, soprattutto se ci lasciamo prendere da pensieri negativi e, ancor di più, se veniamo da una o più recenti sconfitte, legate alla pratica dello sport che amiamo o, anche, connesse con altri aspetti del nostro vissuto quotidiano: scuola, lavoro, famiglia, amicizie, amori…  Proviamo a immaginare questa situazione: siamo per strada, di notte, poca illuminazione, magari sta anche piovendo o fa freddo e ci sentiamo impacciati da ombrelli e indumenti pesanti. Qualcuno ci viene incontro, di corsa, e, giunto di fronte a noi, ci dà una botta in testa e ci deruba della borsa o del portafoglio. La prossima volta che vedremo qualcuno correrci incontro lungo una strada, inevitabilmente ci immobilizzeremo e ci prepareremo a difenderci, aumenteranno pressione arteriosa e frequenza cardiaca, ci suderanno mani e piedi e subiremo una forte scarica di ormoni dello stress…Il primo evento, l’aggressione, è divenuto uno stimolo condizionato di paura: se dovessimo trovarci a ripassare nel luogo ove il fattaccio è avvenuto, potremmo facilmente accorgerci di rivivere attimi di forte tensione, dato che non solo l’evento (l’aggressione) ma anche l’insieme degli altri stimoli casualmente presenti sulla scena dell’aggressione (contesto) contribuiscono oramai a suscitare in noi un vivo disagio. Tutto ciò viene definito da noi psicologi “condizionamento contestuale“.Proviamo ora a pensare a una squadra di pallavolo, composta in tutto o in parte da giovani ancora inesperti, seppure sufficientemente capaci da un punto di vista tecnico, che inanella una o più sconfitte nella palestra di casa, di fronte al proprio pubblico, spesso composto da genitori e amici che a fine gara possono “appesantire” l’umore di chi ha giocato e perso con rimproveri e prese in giro. Dato che spesso anche dirigenti e tecnici intervengono con ulteriori rimproveri, lascio a voi immaginare (se non lo sapete già per esperienza personale) come si possano sentire quei ragazzi.Anche questo insieme di esperienze negative può far innescare il meccanismo del condizionamento contestuale, per cui in prossimità della prossima gara, gli atleti (non necessariamente tutti, ma sono sufficienti alcuni) dovranno affrontare l’insieme dei fenomeni che si scatenano in noi quando ciò che definiamo “paura” sembra impadronirsi delle nostre capacità di controllo razionale.Entrare in quella palestra, giocare davanti a quel pubblico, sentire le urla di quell’allenatore…Il nostro cervello lavora in modo da avvertirci che siamo prossimi a un possibile insuccesso, che minerà la nostra “felicità cerebrale”. Cosa sta succedendo in questo nostro utile organo, che, a volte, sembra voler fare di tutto per farsi definire inutile? Molte importanti risposte sono venute dallo studio della paura nei ratti. Quegli animaletti, poco simpatici ai più, sono stati ampiamente utilizzati nello studio del condizionamento alla paura e ci hanno permesso di scoprire molti interessanti aspetti del funzionamento del nostro cervello, in particolare del cosiddetto “cervello emotivo“.Il cervello umano possiede tre circuiti (2) che ci aiutano a reagire al pericolo e a elaborarlo: il primo è presente nel cervello di tutti i mammiferi, ma anche in quello di uccelli, rettili, pesci e moltissimi altri animali, e viene definito “il circuito primitivo della paura” (3). Ha sede nel sistema limbico, una struttura cerebrale antichissima, apparsa centinaia di milioni di anni. Formato da amigdala, talamo, ipotalamo e ippocampo, parti fra loro distinte per forma e funzioni ma fortemente connesse fra loro, questo sistema presenta connessioni dirette sia con gli organi di senso che con la corteccia cerebrale. Tutte le informazioni raccolte dagli organi di senso e indirizzate attraverso le vie nervose verso la corteccia cerebrale, arrivano anche all’amigdala, che le sonda alla ricerca di eventuali segnali di pericolo, soprattutto suoni o movimenti improvvisi. Se qualcosa suscita allarme, l’amigdala, con subitanea reattività, attiva l’ipotalamo, che regola le funzioni automatiche del corpo e, fra esse, il rilascio di un ormone, la corticotropina o Crf, che ci prepara alla lotta o alla fuga. Anche il talamo interviene, focalizzando l’attenzione dell’individuo sulle possibili fonti di minaccia e trasformando i segnali in entrata in informazioni decodificabili dalla corteccia, che fornirà la successiva interpretazione ed elaborazione. In quella porzione del cervello sono presenti anche reti di cellule nervose (nuclei della base e formazione reticolare) che sono il “serbatoio” di importanti neurotrasmettitori, le sostanze che consentono alle cellule nervose di dialogare tra loro. Uno di questi, secreto dal locus coeruleus,  è la noradrenalina, che attiva importanti parti della corteccia cerebrale che ci permettono di provare percezioni vivide e migliorano il ricordo. In quest’area del cervello sono immagazzinati anche serotonina, dopamina, acetilcolina e adrenalina, tutti basilari neurotrasmettitori che possono modulare differenti livelli di paura.Quando il circuito primitivo ha generato una prima reazione emotiva (dalla preoccupazione al terrore, passando per l’ansia), che si manifesta repentinamente ma con scarso livello di elaborazione (efficace, quindi, per la rapidità delle risposte comportamentali attivate), si attiva il cosiddetto circuito razionale, costituito dalla corteccia cerebrale (in particolare dalla corteccia prefrontale, che riceve e dà senso alle informazioni elaborate dalle varie “parti” della corteccia sensoriale), dai suoi collegamenti con gli organi di senso e con il sistema limbico. Questo passaggio comporta una progressiva modulazione della risposta del circuito primario della paura, che renderà più adeguato l’insieme delle nostre reazioni man mano che ciò che ha suscitato la nostra paura viene identificato grazie all’elaborazione della corteccia.Solo a questo punto avvengono le nostre valutazioni “razionali”, che ci permettono di accedere a comportamenti più complessi di lotta e fuga. Queste analisi, più lente e approfondite, consentono l’ideazione di diversi possibili scenari d’azione che possano contrastare efficacemente la minaccia.Mentre questi primi due circuiti, il primitivo e il razionale, operano a livello inconscio (come già detto, non consapevole), nella fase della decisione finale sembra intervenire un ulteriore circuito, definito conscio. Evolutosi dal sistema libico, opera come decisore supremo ed è caratterizzato dalla consapevolezza di provare paura. “Bisogna saper perdere… non sempre si può vincere…” diceva una canzone cantata a un Sanremo di fine anni ’60 da Lucio Dalla e dai Rokes, qualche lettore un po’ meno giovane la ricorderà. Certo quel testo parlava di amori giovanili, forse però saper costruire la propria consapevolezza che nessuno è invincibile, così come nessuno è per sempre un perdente, può essere un punto di forza. Forse partendo proprio dalla consapevolezza di poter provare paura, possiamo lavorare sia in palestra che su noi stessi per imparare a minimizzare gli effetti della paura di vincere…Di come fare, se vi interessa, ne parleremo più diffusamente una prossima volta.  Pietro “Piero” Visentini Psicologo dello Sport e consulente della “Tonazzo Pallavolo Padova”  —(1) – Inciso tratto dal recente e interessante volume di David DeSalvo “Cosa rende felice il tuo cervello… e perché devi fare il contrario” Ed. Bollati Boringhieri 2013(2) Viene definito “circuito” l’insieme delle strutture cerebrali (ad esempio, la corteccia, una parte di recente evoluzione e fortemente sviluppata nel cervello umano) e delle loro interconnessioni (sono le “vie neurali” entro le quali fluiscono le informazioni veicolate, ad esempio, dagli organi di senso). Nel cervello umano esistono molteplici circuiti cerebrali che rispondono all’insieme degli stimoli interni ed esterni ai quali ciascuno di noi è continuamente sottoposto e consentono la produzione dei molteplici, contemporanei e distinti comportamenti umani.(3) Devo tutta la parte dedicata alla sintetica descrizione della rete dei circuiti della paura al prezioso volumetto di Maria Rita Ciceri, “La paura”, Ed. Il Mulino 2001

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